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Ogni risposta di ChatGPT è un’opera derivata: OpenAI contesta

Questa settimana, OpenAI ha finalmente risposto ad un paio di accuse, derivanti dalla class-action coltivata da parte di alcuni autori di libri, tra cui Sarah Silverman, Paul Tremblay, Mona Awad, Chris Golden e Richard Kadrey; che, all’inizio di quest’estate, hanno affermato che ChatGPT è stato addestrato illegalmente su copie pirata dei loro libri. Così la contestazione di aver colposamente violato il Digital Millennium Copyright Act (DMCA),di aver preso parte ad una concorrenza sleale, nonché di aver commesso ingiusto arricchimento.

OpenAI si è difesa rappresentando come gli autori concepiscano “in modo errato la portata del copyright, non tenendo conto delle limitazioni e delle eccezioni (incluso il fair use), che lasciano correttamente spazio ad innovazioni, come i grandi modelli linguistici, ora in prima linea nell’intelligenza artificiale”.

A differenza di chi commette il vero e proprio plagio, cercando di trarre profitto direttamente dalla distribuzione di materiali protetti da copyright; OpenAI ha evidenziato come il suo obiettivo sia piuttosto “insegnare ai propri modelli a derivare le regole di base del linguaggio umano” per aiutare le persone a “risparmiare tempo a lavoro”, “rendere la vita quotidiana più facile” o semplicemente “divertirsi digitando su ChatGPT”.

Lo scopo della legge sul copyright, ha poi sostenuto OpenAI, è promuovere il progresso proteggendo il modo in cui gli autori esprimono le proprie idee. Tuttavia, in tutto questo, non rientra “l’idea sottostante, i fatti incarnati nel messaggio articolato dall’autore o altri elementi costitutivi della creatività”; ovvero gli elementi utili al modello di formazione di ChatGPT, come le informazioni statistiche relative alle frequenze di parole, ai modelli sintattici ed ai marcatori tematici.

Tutto ciò va oltre il copyright.

Così, ha proseguito OpenAI, ogni singolo risultato di ChatGPT non può seriamente essere considerato un’opera derivata. E quand’anche fosse, il DMCA non vieta la distribuzione di opere derivate senza i dettagli relativi ai nomi degli autori o l’anno di pubblicazione; esso vieta, infatti, solo la rimozione di tali dettagli in caso di distribuzione delle opere originali o di copie di esse.

Da ultimo, OpenAI ha rappresentato come gli autori non siano riusciti a dimostrare che la società nutra un “interesse finanziario diretto” nel violare i diritti d’autore.

Nonostante le difese avanzate, è, comunque, improbabile che gli interessati rinuncino a questa lotta così facilmente. Per loro, l’IA generativa non sta aiutando a promuovere l’intelligenza umana, ma piuttosto rappresenta una copia dell’intelligenza umana stessa che è stata riconfezionata e separata dai suoi creatori – come ha scritto lo studio legale di Joseph Saveri su un sito web riassumendo le lamentele dei suoi assistiti.

Leggi l’articolo completo:

OpenAI disputes authors’ claims that every ChatGPT response is a derivative work – Arstechnica

Immagine di copertina via DuckDuckGo

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