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I chatbot come confidenti digitali

Nel 1966 Weizenbaum crea il primo chatbot della storia: ELIZA. Poco più di 200 righe di codice, il minimo che serve per mantenere un dialogo con l’utente. ELIZA era stata creata da un docente nel suo studio accademico, mentre ChatGPT è stato progettato da una realtà finanziata con decine di miliardi di dollari e per cui lavorano i massimi esperti del settore. ELIZA poteva quasi solo ribaltare in forma di domanda le nostre affermazioni, mentre ChatGPT è in grado di conversare in maniera sofisticata e spesso sorprendente su praticamente ogni tema, attraverso inferenze statistiche sui dati. Tra le tante differenze, c’è però una somiglianza cruciale. Un filo rosso che lega questi due strumenti appartenenti a epoche così diverse: la necessità dell’essere umano di confidarsi con entità terze, che appaiono neutre, oggettive e prive di pregiudizi.

Non è infatti una coincidenza se, a distanza di così tanto tempo, ChatGPT e il suo antenato ELIZA sono stati utilizzati da una parte della popolazione per gli stessi identici scopi. Che cosa porta, però, un buon numero di persone a rivolgersi a strumenti automatici invece che a psicologi in carne e ossa, o ad amici o parenti?

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Immagine in copertina di Sigmund su Unsplash.

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