Il 25 agosto è entrato in vigore il Digital Services Act (DSA), inizialmente applicato alle piattaforme online più grandi (con oltre 45 milioni di utenti) e che sarà esteso a tutti gli operatori di servizi online a partire dal 17 febbraio 2024. Il DSA si applica a intermediari online, motori di ricerca e piattaforme di comunicazione sociale, imponendo loro obblighi specifici in base alla loro dimensione.
Il testo sottolinea che il DSA è stato accolto con entusiasmo per l’introduzione di nuove regole e diritti online, inclusa una maggiore protezione contro contenuti illegali (come terrorismo, pornografia, truffe online), incitamento all’odio e contenuti dannosi come la disinformazione.
Il DSA utilizza un approccio di co-regolamentazione, coinvolgendo direttamente le piattaforme online nell’applicazione delle regole attraverso procedure concertate con organismi tecnici dipendenti dalla Commissione europea. Tuttavia, il testo solleva preoccupazioni sulla natura giuridica delle grandi piattaforme online e sul fatto che il controllo e la verifica delle informazioni vengano effettuati da soggetti privati, il che potrebbe tradursi in una forma di censura privata amministrativa sulla libertà di informazione dei cittadini.
Il DSA si occupa anche di contenuti che costituiscono espressione di pensiero, e la definizione di contenuti dannosi come la disinformazione è complessa e soggettiva. Inoltre, il testo solleva interrogativi sulla delega di poteri decisionali a soggetti privati, il cui interesse potrebbe non sempre coincidere con l’interesse pubblico.
Leggi qui l’intero articolo: Il Digital services act. Addio articolo 21 della Costituzione?