Brian Merchant, giornalista che cura la rubrica sulla tecnologia del Los Angeles Times, è l’autore di “Blood in the Machine: The Origins of the Rebellion Against Big Tech”.
Merchant ha guidato la Tesla Roadster di prima generazione. Ha provato i frullati in polvere Soylent. Ha un account Twitter dalle dimensioni importanti. Ed ha scritto un libro sull’iPhone.
Ciononostante, è un luddite ovvero un luddista.
E no, non c’è nulla di contraddittorio.
I luddisti, in origine, infatti, non odiavano la tecnologia: anzi, per la maggior parte erano operai qualificati.
Piuttosto, agli albori della rivoluzione industriale, ciò a cui si opponevano erano i modi specifici in cui la tecnologia veniva utilizzata per minare il loro status, sconvolgere le loro comunità e distruggere i loro mezzi di sussistenza.
Ebbene, Merchant ritiene che si abbia oggi bisogno dello stesso tipo di visionari: ovvero di persone che vedano esattamente come determinate tecnologie causano danni e che spingano ad opporsi quando necessario.
Fa presente, in questo senso, che se negli anni 2000 sembrava che la tecnologia stesse costruendo il futuro; già dal 2010, tuttavia, si sono iniziati ad avere i primi segnali negativi: con la crescita di Amazon, sono emerse storie sulle condizioni estenuanti dei magazzinieri; Google ha usato il suo potere monopolistico per sbaragliare la concorrenza; un’epidemia di suicidi ha travolto una fabbrica di iPhone; e si iniziava a prevedere che l’intelligenza artificiale avrebbe presto sostituito decine di milioni di posti di lavoro e che l’ascesa dei robot fosse a portata di mano.
Così racconta di essersi imbattuto, durante un lungo fine settimana del Labor Day nel 2014, in un lavoro accademico che esaminava i luddisti e la loro lotta contro i titani della tecnologia del loro tempo. Scoprire la vera storia di questo movimento è stata una rivelazione.
I Luddisti non erano, contrariamente alla credenza popolare, degli idioti che rompevano le macchine perché non le capivano. Erano, invece, dei lavoratori tessili che un tempo conducevano una vita confortevole, lavorando a casa o in piccoli negozi, secondo i propri termini e orari, con libertà e dignità.
Quando poi gli imprenditori cercarono di trasferire i loro posti di lavoro nelle fabbriche utilizzando telai meccanici che svolgevano lavori simili più velocemente, in modo più economico e molto più scadente, i luddisti protestarono. In un primo momento cercarono il compromesso, il dialogo e un modo democratico per integrare la nuova tecnologia nelle loro comunità – per condividere i guadagni, ma gli imprenditori li ignorarono, così si ribellarono.
In questo senso, i luddisti furono innovatori. Hanno aperto la strada ad una resistenza popolare verso le tecnologie, perché dannose per la comunità.
Così Merchant chiede che anche i governi si facciano avanti, che offrano solide protezioni e servizi sociali per coloro che si trovano in posizioni precarie e che, soprattutto, sviluppino norme per tenere a freno il modello antidemocratico di sviluppo tecnologico.
Leggi l’articolo completo:
I’ve always loved tech. Now, I’m a Luddite. You should be one, too – The Washington Post
Immagine di copertina via DuckDuckGo