L’articolo di Rowan Jacobsen, “Brains Are Not Required When It Comes to Thinking and Solving Problems—Simple Cells Can Do It“, pubblicato su SCIAM nel numero di febbraio 2024, introduce un’idea rivoluzionaria nel campo della biologia e della bio-robotica. Jacobsen discute come l’intelligenza e la capacità di risolvere problemi non siano prerogative esclusive di organismi dotati di cervelli complessi, ampliando così la nostra comprensione dell’intelligenza stessa.
Michael Levin, ricercatore alla Tufts University, si è concentrato sullo studio dei planari, una specie di vermi piatti che possiedono la straordinaria abilità di rigenerare parti del loro corpo, inclusa la testa. Le ricerche di Levin rivelano una verità sorprendente: “Questi organismi dimostrano che la memoria e l’apprendimento possono verificarsi anche in assenza di un cervello tradizionale”, afferma Levin. Questa scoperta suggerisce che le cellule comuni, e non solo i neuroni, giocano un ruolo cruciale nella memorizzazione e nel processamento delle informazioni. Le implicazioni di queste scoperte per l’Intelligenza Artificiale (AI) sono significative. Tradizionalmente, l’AI ha cercato di emulare le funzioni del cervello umano. Tuttavia, gli studi di Levin aprono la strada a nuovi modelli di intelligenza basati su principi differenti.
Josh Bongard dell’Università del Vermont evidenzia l’importanza dell’“embodied cognition” nella progettazione dei robot. Questo concetto prevede che i robot imparino dall’interazione diretta del loro “corpo” con l’ambiente circostante, una prospettiva che sfida gli approcci tradizionali nell’AI.
Jacobsen introduce poi gli “xenobots” e gli “anthrobots” come esempi di questa nuova frontiera. Gli xenorobot sono forme di vita sintetica create in laboratorio utilizzando cellule staminali di rana, capaci di auto-organizzarsi e svolgere funzioni semplici, rappresentando un innovativo approccio nell’ambito dell’AI e della biologia sintetica. In modo simile, gli anthrobots, formati da aggregati di cellule umane, offrono una prospettiva unica sulle potenzialità della biologia sintetica. Con gli anthrobots possiamo esplorare come le cellule umane possono essere ristrutturate per formare entità artificiali in grado di svolgere compiti specifici. Le applicazioni potenziali di xenobots e anthrobots sono vastissime, si estendono dalla ricerca medica alla rigenerazione dei tessuti, fornendo nuovi strumenti per comprendere e trattare le patologie umane.
Jacobsen conclude sottolineando come queste ricerche stiano ridefinendo la nostra concezione di intelligenza e come influenzano il design dei sistemi di intelligenza artificiale, che può ispirarsi a un ampio spettro di modelli biologici.
L’articolo non solo presenta le ultime scoperte scientifiche, ma invita anche a una riflessione più ampia sul futuro dell’AI. La capacità degli xenobots e degli anthrobots di adattarsi e rispondere agli stimoli ambientali indica una transizione verso sistemi AI che non solo imitano, ma effettivamente “vivono” nel loro ambiente. Questa evoluzione apre a nuove forme di ibridazione tra biologia e tecnologia, sfumando i confini tra organico e artificiale.
L’intelligenza artificiale si evolve in senso corporeo e i corpi si nutrono di intelligenza artificiale?