Negli ultimi anni si è diffuso il termine “Intelligenza Artificiale” per indicare un complesso insieme di tecniche diverse che in qualche modo vengono a riprodurre in modo artificiale l’intelligenza umana “naturale”: aggettivo che com’è ampiamente noto è sì vago e impreciso, ma che assume pregnanza dalla contrapposizione con ciò che è “artificiale”. Quest’ultima è frutto di un arte-fatto, cioè qualcosa che appunto è creato sulla scorta di un programma pensato e progettato in anticipo, mentre l’altra è data e procede secondo schemi propri e indipendenti dall’intervento umano. Non è ancora ben chiaro quali siano le caratteristiche specifiche che distinguono le varie tecniche, ma si prende atto che esse in qualche modo funzionano e rispondono abbastanza bene alle esigenze per cui sono state create. Siamo ancora agli albori della nuova tecnica, e come sempre capita quando qualcosa di nuovo comincia a muovere i suoi primi passi le domande al riguardo sono molteplici.
Una, forse la prima, sicuramente riguarda il futuro della nuova tecnica: si espanderà oppure dopo qualche iniziale attenzione verrà abbandonata? E nel caso la pratica dovesse prendere piede, quanto tempo ci vorrà perché sia percepita come qualcosa di tanto comune e normale da diventare essa stessa “naturale”? Quanto rapido sarà il processo di diffusione dell’Intelligenza Artificiale? Sarà analogo a quello dell’automobile che ha richiesto alcuni decenni, o più simile a quello del cellulare, che si è diffuso con rapidità eccezionale e impressionante, superando ogni aspettativa. E quanto si diffonderà? Sarà limitata a alcuni settori specifici e circoscritti o invece riguarderà ogni ambito dell’esistenza? E più in generale, che ruolo avrà rispetto all’intelligenza naturale: sarà un ausilio “complementare” per alcune esigenze o la situazione verrà a capovolgersi come sta capitando con altri ambiti? Mi spiego: da sempre gli umani si sono spostati in modo “naturale” sulla scorta dei muscoli propri o di animali idonei. Con l’avvento dell’energia fossile, gli spostamenti lunghi sono stati affidati alla tecnica, che è diventata un utile ausilio alla mobilità umana. È però diventato comune dire “andiamo a fare una passeggiata”, espressione che indica come lo spostamento naturale sia qualcosa di eccezionale e di scelto appositamente, essendo ormai la mobilità umana affidata alle tecniche e non più naturale: sarà così anche con l’intelligenza?
Un altro fascio di domande circa il futuro della nuova tecnica riguarda gli effetti che l’Intelligenza artificiale avrà sulla vita sociale e sulle forme di vita che la caratterizzano. Ogni tecnica (almeno quelle più significative) ha effetti circa la percezione di sé e il modo di autorappresentarsi sia a livello di singolo individuo sia a livello di gruppo: la possibilità di comunicare rapidamente col cellulare o con la rete ha cambiato e sta cambiando l’autorappresentazione dell’uomo circa i tempi relazionali, come le conoscenze di genetica e le correlative tecniche di controllo stanno cambiando la percezione della salute e delle responsabilità al riguardo. Quale sarà l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sull’immagine di sé stessi in quanto umani?
L’interrogativo è troppo ampio per ricevere qui una risposta: riguarda troppi aspetti che richiederebbero un’analisi più approfondita che qui non può essere svolta. Mi limiterò quindi a considerare una sola questione specifica tra le tante, quella che ritengo sia essenziale per l’attuale l’autorappresentazione umana e che, forse, verrà a essere significativamente modificata. Il punto di partenza è che, come abbiamo accennato, non si sa bene che cosa sia l’Intelligenza Artificiale: è un mix di tecniche varie la cui combinazione pare funzionare nel senso che, a seguito di domande specifiche, si hanno risposte pertinenti e anche linee d’azione autonome. Ripeto, siamo solo agli inizi, ma si parla di Intelligenza Artificiale perché le risposte ottenute o le azioni intraprese dagli artefatti sono “intelligenti” in quanto assomigliano ai frutti dell’intelligenza umana – le cui caratteristiche peraltro in modo simile non sono altrettanto ben note.
A ben vedere anche dell’intelligenza naturale umana non si ha una specifica determina, nel senso che non si sa bene che cosa sia precisamente. Una linea aristotelica di pensiero, che per secoli è stata prevalente in Occidente, individuava la caratteristica specifica dell’intelligenza umana nella capacità di astrazione, che consente di passare dal particolare all’universale: dalla sensazione o percezione di un dato specifico, al concetto. In questa capacità sta l’aspetto differenziale che – secondo la prospettiva – distingue l’intelligenza umana da quella di altri animali: a differenza dei bruti gli umani sono in grado di elevarsi all’universale. Questa peculiarità è apparsa tanto straordinaria e elevata da far pensare che fosse di natura speciale e diversa dalle realtà terrestri: qualcosa di divino che alberga negli umani. Di qui l’idea che l’intelligenza umana non sia frutto del pensiero inteso come attività cerebrale, ma sia qualcosa che dipende dall’anima spirituale ossia una sostanza diversa dalla materia e trascendente. Molti e variegati sono stati i modi di intendere i rapporti tra la materia (il corpo) e lo spirito (l’anima), e i termini più noti sono da una parte la soluzione tomista, che vede una graduale crescita di perfezioni della materia che diventa sempre più “leggera” fino a che, come dice Dante nel canto xxv del Purgatorio (vv. 68-75):
sì tosto come al feto
l’articular del cerebro è perfetto,
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant’arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto,
che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira.
L’interpretazione di queste parole è molto complessa (e per alcuni aspetti ancora incerta), ma non è qui il caso di entrare nei dettagli: pur essendo una posizione “gradualista” che prevede un progressivo perfezionamento della materia che la rende idonea a accogliere il cambiamento decisivo si ha quando “lo motor primo […] si volge lieto/sovra tant’arte di natura, e spira/spirito novo”: l’anima come sostanza unitaria immortale e razionale “che vive e sente e sé in sé rigira”.
Dall’altra parte la soluzione cartesiana che invece prevede un dualismo netto e marcato, così che materia e spirito sono due entità decisamente separate. Tra le due posizioni estreme qui delineate ci sono poi varie posizioni intermedie, ma il punto cruciale è che l’intelligenza non dipende dalla materia, ma è il segno dello spirito: è la scintilla divina che permea l’animale umano e che lo rende un qualcosa di ontologicamente diverso dal resto della natura.
L’idea che l’intelligenza umana fosse la manifestazione dell’anima spirituale ha permeato la cultura occidentale fino al XVIII secolo, quando ha cominciato a essere messa in discussione. Nel successivo XIX secolo i dubbi sono cresciuti al punto che nel XX secolo il quadro si rovesciato così che l’idea stessa di un’anima immateriale è diventata poco sostenibile. Vari fattori hanno contribuito a questo radicale cambiamento: tra i tanti, un ruolo centrale ha avuto la secolarizzazione come disincanto del mondo, ossia il processo culturale che ha tolto l’alone magico e di mistero che ha aperto la via al mondo trascendente e che pressoché da sempre ha avvolto molti fenomeni naturali come la nascita, la morte e anche il pensare (l’intelligenza). Il fatto che oggi ci sia l’Intelligenza Artificiale è senza dubbio un ulteriore passo che favorisce la secolarizzazione anche del pensiero: pensiero che, da fenomeno misterioso frutto di una sostanza spirituale, diventa l’esito di processi esplicabili, perdendo la magia che l’ha circondato.
Non sono ancora ben chiari quali saranno gli effetti che l’incipiente desacralizzazione dell’intelligenza verrà a produrre, ma è prevedibile che l’affermarsi dell’Intelligenza Artificiale comporterà una secca perdita dell’idea stessa di trascendenza e una sempre più completa “naturalizzazione” dell’uomo. Se anche gli artefatti sono in grado di dare risposte intelligenti o di essere origine di azioni intelligenti, allora quella che a volte viene chiamata la “differenza umana” sembra venga a perdere vigore e la secolarizzazione avanzerà anche su quegli aspetti dell’umano che sinora sono stati riserva del magico.
Foto in copertina di Pierre Astier su Unsplash.