La sorveglianza dell’IA: un Panopticon disumano?

Emanuel Maiberg, in un articolo scritto su “404 Media” il 28 settembre, riflette su uno studio preprint, intitolato “Il Flusso di Sorveglianza dell’IA”, che ha analizzato più di 20.000 articoli e 11.000 brevetti nel campo della visione artificiale, coprendo un arco temporale di tre decenni.

Innanzitutto, si è riscontrato che la stragrande maggioranza della ricerca nel campo della visione artificiale ha portato allo sviluppo di tecnologie finalizzate alla sorveglianza degli esseri umani. Questo significa che gran parte degli sforzi nel campo della visione artificiale ha avuto come risultato applicazioni e strumenti direttamente correlati al monitoraggio e alla sorveglianza delle attività umane.

Un secondo punto cruciale emerso dalla ricerca è il fatto che molti articoli scientifici sulla visione artificiale utilizzano il termine “oggetti” per riferirsi agli esseri umani, riducendo la percezione degli individui a entità inanimate e distanti, anziché riconoscerne la dignità e l’umanità.

Nonostante le applicazioni positive possibili della visione artificiale, come il miglioramento della sicurezza stradale, i sistemi in questo campo tendono in definitiva a convergere verso scopi di sorveglianza e controllo degli esseri umani e questo solleva importanti questioni etiche e sociali.

Per commentare, si può notare che l’idea di sorveglianza dei cittadini è presente fin dai tempi di Jeremy Bentham, che, nel suo “Panopticon” (1791), ideò un modello architettonico per la sorveglianza costante. Va sottolineato che non di per sé la sorveglianza è negativa, infatti potrebbe contribuire a proteggere la dignità umana attraverso applicazioni che monitorano le condizioni di lavoro per garantire ambienti sicuri e rispettosi dei diritti dei lavoratori. Ma l’uso del termine “oggetti” per descrivere gli esseri umani è una forma di disumanizzazione, che rivela la riduzione degli individui a mere entità passive senza diritti e libertà.

Foto di Tobias Tullius su Unsplash

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